Il teutone, la croce perduta by Guido Cervo

Il teutone, la croce perduta by Guido Cervo

autore:Guido Cervo
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-08-28T16:00:00+00:00


CAPITOLO DODICESIMO

«Eccoli, mio signore!» Scostando le ramaglie di un arbusto, Rudibert si fece da parte per consentire a Eustachius di osservare il bivacco dei tartari. Una leggera brezza portava alle loro orecchie il sommesso belato delle pecore, le voci degli uomini raccolti attorno ai falò e qualche risata di donna, insieme al suono acuto di zufoli a due canne. Le sentinelle, infagottate nelle pelli di montone e armate di lancia e arco, camminavano a lenti passi sui margini del campo. Annottava, ma la luce dei fuochi consentiva di valutare approssimativamente il numero dei guerrieri. Aprendosi la via tra pruni e cornioli, si accostò anche Grimani, che guardò a sua volta di sopra la spalla del cavaliere.

«Quanti saranno?» chiese a mezza voce.

Eustachius, che per essere meno visibile si era gettato sulla cotta bianca il mantello grigio prestatogli da Plotzke, gli rispose senza distogliere lo sguardo dai nemici: «Dal numero dei fuochi, si direbbe non meno di duecento, con otto carri. Devono essersi incontrati qui con un altro grosso distaccamento. Evidentemente, si erano divisi in gruppi per razziare il territorio e ora si stanno via via ricompattando».

Sgomento, il veneziano constatò: «Dunque, ogni volta che li incontriamo sono sempre di più. Inseguivamo una piccola banda, e ora sono venti volte più di noi».

Trattenendo i rami, Rudibert completò il quadro: «Vedete? Il bestiame è laggiù, sulla sinistra. Quanto ai cavalli, ogni gruppo custodisce i suoi».

Il cavaliere annuì. «Impossibile disperderli, dunque. E i prigionie-ri...?»

«Se ho visto bene, li tengono al centro.»

Dopo avere studiato ancora il nemico per qualche istante, Eustachius si ritrasse e confermò: «Sì, è certamente così».

«Chissà dove tengono il bottino» osservò Grimani.

«Probabilmente è stivato nei carri» rispose Eustachius. Intuendo che la mente del veneziano era rivolta alla Croce di Aquileia, soggiunse: «Probabilmente, ciò che cercate si trova sul carro più grande, che è ragionevole supporre sia quello del loro capo».

«Se è così», disse Grimani «non vi è più speranza di impadronircene.»

«Vi avevo avvertito che l'impresa era difficile.»

«A parer mio, adesso non è più soltanto difficile: direi che è impossibile.»

Senza distogliere lo sguardo dall'accampamento dei tartari, il cavaliere gli rispose senza accenti particolari: «Vi ricordo di nuovo che siete sempre libero di rinunciare».

Confuso, Grimani tacque, abbandonandosi a cupe ma ineludibili riflessioni. Ormai si era reso conto di essersi infilato in un inestricabile ginepraio. Il giorno prima, dopo l'infausto scontro presso l'abbazia, si era orgogliosamente ribellato alla sorte avversa, inorridito dall'idea di dover rientrare a Venezia, di lì a qualche settimana, riferendo al doge del proprio fallimento. Erano in gioco il suo onore e il credito universalmente attribuiti alla sua famiglia. E poi... e poi c'era Donata Valdarin, la giovane che avrebbe dovuto sposare al proprio ritorno: un fidanzamento, il loro, che realizzava il miracolo di combinare l'interesse di due importanti famiglie veneziane con una reale intesa di cuori tra i promessi sposi. Come avrebbe potuto presentarsi a lei, e al suo severo genitore, con il marchio di una così totale sconfitta? Impensabile. Impressionato dal valore dei teutonici e sedotto dall'ottimismo di von Felben, aveva



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